Non esistono parole al mondo che non siano state già scritte, all'Alba dei Tempi.......PAROLE SCOLPITE negli anfratti più profondi del cuore della Terra, nelle pieghe più morbide e levigate dell'intero universo, tra le radici della natura o tra i voli di ali celesti. Solo lo scrittore, come saggio e vecchio geografo, le sa cercare, comprendere e disegnare in pagine di eterna memoria......

I miei libri

martedì 6 dicembre 2016

Canto di Natale

Charles Dickens scrisse questo racconto nel 1843, il più famoso della raccolta Libri di Natale. Il protagonista è Scrooge, un uomo che pensa solo al denaro e agli affari e non si accorge dei parenti che non vede più da molto tempo, della morte dell’amico Marley, avvenuta sette vigilie prima di Natale e di quanti stanno peggio di lui. Uomo d’affari, è incapace di apprezzare il Natale, che per lui è una perdita di tempo. Rimprovera a Dio il riposo domenicale che danneggia sia il commercio che il guadagno. Il suo impiegato Bob, al quale dà uno stipendio da fame, deve lavorare anche il giorno della festa. Per strada risponde in modo scontroso a quelli che intonano un canto di Natale o che gli fanno gli auguri, incluso l'affettuoso nipote Fred, figlio della defunta sorella, che invano lo prega di cenare con la sua famiglia; l'unica compagnia che conta per lui è quella della cassaforte. La sera della vigilia di Natale, mentre sta rincasando, gli sembra di intravedere nella neve il defunto socio in affari Marley e ne è profondamente turbato. In casa, percepisce dei rumori strani: quello di un carro funebre, un rumore di catene nella cantina, la campanella collegata alla camera antistante che oscilla con un suono assordante. A questo punto compare il fantasma di Marley, che gli fa vedere tutto quello che lo ha distolto dal fare del bene agli altri accumulando denaro solo per sé, lontano dalle persone che amava e che lo amavano. Capisce la sua pena eterna e la perdita della luce di Dio.
Marley gli annuncia la visita dei tre fantasmi del Natale: passato, presente e futuro che gli fanno ripercorrere la sua esistenza, il suo presente e anche il futuro. Capisce che l’egoismo e l'indifferenza hanno causato solo tristezza e odio. L'unico modo di liberarsi è risvegliare la coscienza e pentirsi. Vive dei mutamenti interiori che lo portano a voler cambiare e a fare cose che non ha mai voluto fare. Nella sua anima entra l’amore e impara ad apprezzare la vera vita. Scrooge si risveglia nel suo letto e scopre che è la mattina del Natale. Glielo conferma un ragazzo che passa cantando sotto la finestra. Forte della lezione ricevuta, manda il ragazzo a comprare il più grosso tacchino in vendita e, premiandolo con generosità, lo fa portare a casa di Bob. Sbarbato e vestito a festa, esce in strada e saluta tutti con affabilità.  Vede l'uomo che gli aveva chiesto un contributo per i più poveri, si scusa per il suo comportamento e gli fa una grossa donazione. Si presenta a casa del nipote per il pranzo ed è il più bel Natale della sua vita. La mattina dopo, in ufficio, aspetta Bob, che arriva con affanno in ritardo. Scrooge, mai disposto a tollerare un ritardo, gli comunica, con un sorriso mai visto prima, un generoso aumento di stipendio. Da allora, Scrooge diventa una persona amata e trova finalmente la pace e la gioia.
 

giovedì 24 novembre 2016

Lettere a un figlio sull'educazione

 
Diciotto lettere scritte da un padre, per parlare di educazione a un figlio che sta per mettere su famiglia. Tutto vero: le lettere, il padre, il figlio. Anzi: i nove figli, che in queste pagine ci hanno messo la vita. Anche la faccia, accettando di comparire in copertina. Nessuna teoria: soltanto realtà. In uno dei suoi tre romanzi, "Giusto", pubblicato nel 2006 e continuamente ristampato, Giovanni Donna d'Oldenico ha toccato il tema della paternità, dal punto di vista di un genitore di eccezione: san Giuseppe. Qui non parla del mestiere di padre; lo fa, scrivendo per trasmettere quanto sta imparando e vivendo; cioè quello che serve a un uomo per crescere e quanto serve per crescere un uomo. Perché uno è sempre figlio. Lettere indirizzate a un figlio, ma destinate a chiunque abbia a cuore l'educazione, in qualsiasi contesto; genitori per primi. Non accademia, né galateo o psicologia; nessuna ricetta pronta: solo gli ingredienti sui quali ciascun lettore lavorerà. Ogni lettera ha un tema, introdotto da un titolo: basta leggerli tutti per capire di che cosa si tratta. Soprattutto: di chi si tratta. IBS
 
Giovanni Donna D'Oldenico è un medico, sposato con Carmina e padre di nove figli. Vive con la famiglia a Torino. Sulla porta di casa Donna D’Oldenico si legge “DOMINICI SCHOLA SERVITII”, SCUOLA DI SERVIZIO DEL SIGNORE, una frase della regola di san Benedetto. Ma è una casa o un monastero? E' una casa dove il monastero vi ha preso dimora. Un monastero allegro e pimpante, dove un uomo, una donna e il resto della grande tribù, Piero, Anna, Carlotta, Filippo, Matteo, Giuseppe, Tommaso, Agnese e Maddalena, aprono le loro affaccendate giornate con la sveglia alle sei del mattino, la colazione, l’Angelus, e poi via, ciascuno al suo lavoro, preceduto per mamma e papà dalla Santa Messa. Altro momento fisso, per la grande famiglia, è la sera, quando si ritrova a recitare compieta (in latino), a leggere un articolo di giornale ed una pagina di storia della Chiesa.
 
Il figlio maggiore Piero è anch'egli medico.
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Ho appena ultimato la lettura di questo libro, scritto con la passione ed il cuore di un padre che si premura di fare al figlio, che sta per sposarsi, un grande regalo: la sua stessa vita, fatta di fede, di preghiera e di impegno.
Pagina dopo pagina, si legge anche tra le righe e con un certo fremito di commozione, come prenda forma il desiderio del padre di voler consegnare  se stesso nelle mani del figlio. Il lettore è come rapito nell'assistere al passaggio da una vita accolta ad una vita donata, un dono al quale ne corrisponde un altro di ugual valore e preziosità. Si dice che basti l'esempio e che non servano tante parole per mostrare agli altri la propria identità di cristiano fedele e devoto, ma qui è come se la fede viva di questo padre sia diventata ancor più incisiva, reale e concreta attraverso le parole che scaturiscono dal cuore; una pagina dopo l'altra, si realizza il mistero di ogni paternità, di un padre che, scoperta la presenza di Dio nella sua vita, capisce di non poter fare a meno di lodarlo, ringraziarlo, seguirlo e farlo conoscere. Le parole si fanno carne viva, la carne del padre che ha generato il figlio e che ora resta immortale nelle pagine di questo bel libro, perché a sua volta il figlio generi alla vita altra vita, tutto per la maggior gloria di Dio.



lunedì 4 luglio 2016

CONCEIVED IN LIBERTY



“CONCEIVED IN LIBERTY”
la contro-rivoluzione americana del 1776
autore Beniamino Di Martino

L’indipendenza delle colonie americane proclamata il 4 luglio 1776 è uno dei più grandi eventi della storia degli ultimi secoli. Esso rappresenta il perfezionamento della rottura tra la ricerca della libertà simboleggiata dall’approdo dei pellegrini del Mayflower sul Nuovo Mondo e il vortice ideologico a cui si auto-condannava il Vecchio Continente. I popoli delle colonie avevano, poi, potuto prosperare grazie al modo con cui la politica assolutista della madrepatria trascurò il controllo nei nuovi insediamenti: un “salutare oblio” da parte del governo che dimostra come lo sviluppo sia assicurato dall’intraprendenza individuale quando questa è libera dal gravame della politica. La resistenza a questo peso tirannico, manifestato dall’imposizione fiscale, è la cifra per intendere la forza che una società composta da uomini liberi è in grado di esprimere. Il rispetto per le libertà individuali e la difesa della proprietà privata, infatti, hanno contrassegnato, per l’America, un cammino di benessere e progresso, un cammino da cui l’Europa nel 1789 volle ulteriormente allontanarsi.   
 
 
"Gli Stati Uniti, illustra bene don Di Martino, furono l’effetto di una guerra d’indipendenza (una “guerra civile” all’interno dell’impero britannico) e non di una rivoluzione. Non ebbero nulla a che spartire con lo spirito giacobino che invece travolgerà la Francia. L’idea di governo che ne sorse fu agli antipodi dell’idea di Stato nata dalla Rivoluzione Francese. Se e quando i suoi dibattiti furono interessati dalla cultura illuministica, l’influenza fu più “d’ambiente” che d’ideologia (si è più figli del proprio tempo che dei propri padri, dice il pensatore cattolico colombiano Nicolás Gómez Dávila [1913-1994]).
Le sue dinamiche si svolsero certamente dentro il retaggio della rivoluzione protestante (e questo, nell’epoca coloniale, comportò anche la persecuzione di certi cattolici), ma ciò significa che furono anche una “guerra civile” fra protestanti (....)
 
"L’indipedenza dalla Gran Bretagna non fu lo scopo della rivolta dei coloni nordamericana, ma divenne il mezzo estremo concreto per ri-stabilire il primo principio non negoziabile: che la libertà è un diritto inalienabile dell’essere umano e tale perché conferito da Dio attraverso la creazione di una natura umana inalterabile (sono parole della Dichiarazione d’indipendenza del 1776), un diritto che precede qualsiasi costruzione o logica umana e che non è riducibile da alcun potere, Stato, forza.
È stato per effetto di questa nascita eccezionale che la Chiesa Cattolica è potuta diventare il sale della Terra americana. Il mondo nato dalla Rivoluzione Francese ha voluto invece affermare il contrario, facendo dell’uomo uno strumento fungibile dello Stato e del potere qualunque esso sia."
 
MARCO RESPINTI SU lanuovabq.it

mercoledì 25 maggio 2016

Da servo di Pannella a figlio libero di Dio




 
DA SERVO DI PANNELLA A FIGLIO LIBERO DI DIO
L'imperdibile libro di Danilo Quinto, tesoriere del Partito Radicale per dieci anni, che descrive nei particolari la più formidabile macchina mangiasoldi della partitocrazia italiana.
 
 
Il re è nudo (...)
È devastante il ritratto di Marco Pannella che esce dalle 208 pagine del libro "Da servo di Pannella a figlio libero di Dio", scritto da Danilo Quinto, per dieci anni tesoriere del Partito radicale, edito da 'Fede&Cultura' e dedicato alla «più formidabile macchina mangiasoldi della partitocrazia italiana», così il sottotitolo, «una famiglia allargata dove tutto ciò che era privato diveniva anche pubblico, dove ci si accoppiava e ci si cornificava fra di noi, dove il massimo della gratificazione era salutare Pannella baciandolo sulle labbra quando si presentava alle riunioni mano nella mano con l'ultimo dei suoi fidanzati ventenni e lo imponeva come futuro dirigente o parlamentare». Anche Quinto a un certo punto della propria vita ha capito che doveva svincolarsi dall'abbraccio soffocante del suo attempato pigmalione e fuggire.
Alla fine c'è riuscito. Ma a che prezzo: «Tre gradi di giudizio nel tempo record di quattro anni, con una sentenza della Cassazione che, pur riducendomi la pena di oltre la metà e concedendomi il beneficio della non menzione, mi condanna a 10 mesi per appropriazione indebita, consentendo a Pannella di darmi pubblicamente dell'impostore, dell'estorsore e del millantatore. Peggio di Luigi Lusi, insomma».
Il leader radicale dimentica di aggiungere che dev'essere anche un vero cretino, questo Quinto, che dal 1995 al 2005 ha procurato al partito finanziamenti per ben 45 milioni di euro, ne ha maneggiati 19.651.357 di entrate e 20.976.086 di uscite, eppure si sarebbe degnato di mettersi in tasca solo un misero 0,32% di questo fiume di denaro, cioè 206.089,23 euro, «spese effettuate con la carta di credito, facenti parte del mio stipendio, sulle quali ho persino pagato le tasse, tutte regolarmente contabilizzate, oggetto di ricevute e dichiarate nei bilanci approvati dai vari congressi», ma sulle quali la magistratura in primo grado ha evitato di ordinare una perizia nonostante l'imputato non si rifugiasse nella prescrizione, e sarebbe arrivato a sgraffignare l'astronomica somma di 2.151,77 euro nell'ultimo anno in cui era in carica, e oggi è costretto a vivere della sua povertà: «Non possiedo una casa e neppure un'auto, non ho un conto corrente, sono indebitato fino al collo, ho dovuto abbandonare Roma e rifugiarmi nella natia Bari, mantengo la famiglia con un contratto a progetto da 1.200 euro al mese che scadrà il 31 dicembre, non avrò mai diritto alla pensione». Peccato che Pannella si sia accorto solo dopo vent'anni che il suo collaboratore di fiducia era «un impostore dedito ad attività truffaldina», nonostante la conclamata bravura nel reperire tutti i mesi i soldi per pagare gli stipendi ai 150 dipendenti del Partito radicale.
Una resipiscenza sopraggiunta peraltro solo il giorno in cui Quinto ha avviato una causa per vedersi riconosciuto dai giudici il dovuto, e cioè 6 milioni di euro, poi ridotti a 2: «Vent'anni di lavoro occasionale per 13-14 ore al giorno, senza contratto, senza contributi versati all'Inps, senza ferie, con presenza in sede anche il sabato, la domenica, a Natale, a Capodanno, a Pasqua. Aggiunga il mancato riconoscimento del rapporto subordinato, il mancato adeguamento dello stipendio al ruolo dirigenziale e la mancata corresponsione del Tfr». La causa è pendente davanti alla Corte d'appello di Roma.
Quinto, 56 anni, giornalista, un esame mancante alla laurea in giurisprudenza, s'è persuaso che il re nudo sia la personificazione di Satana e assicura d'averne avuto una controprova il giorno in cui, dimessosi dall'incarico di tesoriere, andò a ritirare le sue poche cose nella storica sede romana dei radicali, in via di Torre Argentina, dove ha lavorato, ma sarebbe più esatto dire vissuto, dal 1987: «Mi ero fatto accompagnare da padre Francesco Rivera, un esorcista. All'uscita mi disse: "Sai, Danilo, ho avvertito molto forte la presenza del diavolo in quelle stanze. Ringrazia Dio che ti ha salvato"».
La salvezza s'è presentata a Quinto con le sembianze di Lydia Tamburrino, un soprano originaria di Cassino cresciuta alla scuola di Franco Corelli, Placido Domingo e Montserrat Caballé, una credente dalla fede adamantina che l'allora tesoriere del Pr conobbe in una villa sull'Appia Antica, a una proiezione privata del film Diario di Matilde Manzoni di Lino Capolicchio, regista col quale la cantante lirica aveva esordito a Lucca in Bohème. «Fu un colpo di fulmine. Quando annunciai a Pannella che stavo per sposarmi, ammutolì. Come osavo? Non avevo chiesto il suo permesso! "È una che conosciamo?", borbottò. Alla mia risposta, commentò con tono di scherno: "Ah, allora potrà fare degli spettacoli per noi". Da quel despota che è, già considerava anche Lydia di sua proprietà. Non credo proprio, lo raffreddai. Lì cominciò la guerra per annientarmi».
Profumo d'incenso e odore di zolfo, si sa, non vanno d'accordo. Forse Pannella aveva fiutato il pericolo che quella donna incarnava. Infatti sarebbe stata lei a convincere il marito che non doveva più lavorare per il Partito radicale, a farlo riaccostare alla confessione dopo 30 anni, a riportarlo a messa tutte le domeniche. «Al nostro matrimonio religioso non venne nessuno degli amici con i quali avevo condiviso un ventennio di vita, a parte l'ex segretario Sergio Stanzani, che si presentò all'aperitivo e solo per un quarto d'ora».
Avrà temuto le ire del capo. «Sergio era succube di Pannella. Quando nel 1995 fu deciso che gli esponenti radicali dovevano denudarsi pubblicamente al teatro Flaiano di Roma, era terrorizzato: "Se non lo faccio, Marco non mi candiderà alle prossime elezioni". Gli consigliai di andarsene in vacanza per evitare il ricatto. Ma il richiamo manipolativo del capo era troppo forte. Che tristezza vedere un uomo di 72 anni nudo in palcoscenico contro la sua volontà, con le mani sul pene, rannicchiato dietro un albero stilizzato. Se ci pensa bene, il corpo è al centro di tutta l'ideologia pannelliana, che vuole decidere come disporne e decretarne la morte, come garantirne la trasformazione nel corso della vita per assecondare le più disparate identità sessuali, come abusarne con sostanze che lo devastano. In una parola, non rispettarlo, consumarlo». I digiuni estremi bene non fanno. «Estremi ma furbi. Il suo medico di fiducia mi svelò che quando Pannella decise di bere la propria urina davanti alle telecamere del Tg2, la sera prima la fece bollire e conservare in frigo per attenuarne il sapore».
In compenso nel 2002 persino il presidente della Repubblica si preoccupò delle condizioni di salute del guru e chiamò in diretta Buona domenica per indurlo a sospendere lo sciopero della sete. «Povero Carlo Azeglio Ciampi! Conservo il nastro di una riunione di partito – c'era questa mania di far registrare tutto, degna del Kgb – in cui Pannella gli dà della testa di cazzo. Un déjà vu. Marco è stato il grande elettore di Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale, salvo definirlo "don Rodrigo, eversore e fuorilegge" quattro anni dopo, invitandolo a "fare un passo indietro, fino al limite della galera"». Se è per quello, costrinse con accuse false il povero Giovanni Leone alle dimissioni e poi andò a chiedergli scusa poco prima che morisse. «Ora coccola Giorgio Napolitano e ne loda "la davvero straordinaria, quotidiana, pubblica, sapiente opera e fatica". Però negli ultimi giorni ha cambiato musica. Siccome, stando a Italia Oggi, il mio libro avrebbe stoppato la campagna per la sua nomina a senatore a vita, si lamenta a Radio Radicale perché il capo dello Stato non è un liberale, è un ex comunista di cultura togliattiana. Lui fa sempre così: quando vuole ottenere qualcosa, minaccia».
Pannella è iscritto alla massoneria? «Non penso. Però mantiene con essa rapporti strettissimi. Del resto Giorgio Gaber nel monologo L'abitudine diceva: "Io, se fossi Licio Gelli, mi presenterei nelle liste del Partito Radicale". Il capo della P2 fu sul punto d'essere candidato dal Pr come una qualsiasi Cicciolina. A questo scopo suo figlio Maurizio ebbe una serie d'incontri con Pannella in un albergo romano di via Veneto. Posso testimoniare che Gelli junior è stato un grande finanziatore del partito». Che altro può testimoniare? «Che Radio Radicale ripianava i debiti della Lista Pannella col denaro ricevuto dallo Stato. Non poteva farlo, era contro la legge. Con una convenzione ad hoc e senza gara d'appalto, Radio Radicale dal 1998 incassa 10 milioni di euro l'anno per mandare in onda le sedute parlamentari che potrebbero essere trasmesse gratis dalla Rai. In più la legge sull'editoria le garantisce altri 4,3 milioni di euro in quanto organo della Lista Pannella, che peraltro non ha eletti in Parlamento.
Ho denunciato tutto questo allo stesso procuratore della Repubblica che mi ha rinviato a giudizio. A tutt'oggi non mi è stata neppure comunicata l'archiviazione dell'esposto. Come se non l'avessi mai presentato». Perché i radicali erano indebitati? «Pannella spende patrimoni per le sue carnevalate. La sola campagna 'Emma for president' del 1999 per candidare la Bonino al Quirinale ci costò 1,5 miliardi di lire. All'annuncio che Marco voleva la sua cocca sul Colle, lei svenne o fece finta di svenire, non s'è mai capito bene, durante una riunione notturna in un albergo di Monastier, nel Veneto. Ha sperperato un mare di quattrini nel disegno megalomane e fallimentare del Partito Transnazionale, che aveva 20 sedi nel mondo, da Baku, nell'Azerbaigian, a New York, dove mi spedì a lavorare per sei mesi. Fu lì che vidi i solidissimi rapporti esistenti fra la Bonino, frequentatrice con Mario Monti del Gruppo Bilderberg, e lo spregiudicato finanziere George Soros, il quale nel 1999 prestò un miliardo di lire ai radicali. E fu lì che lessi il fax inviato da Pannella alla stessa Bonino quando la fece nominare commissaria europea nel 1994: "Cara principessa, ora tutti s'inchineranno ai tuoi piedi"».
Oltre che spendaccione, che tipo è Pannella? «Un pusillanime. Nell'ultimo colloquio che abbiamo avuto, teneva gli occhi bassi. Riaffermando la mia fede cristiana, riconquistavo la libertà, e questo gli metteva paura. Pur sapendo quale vendetta mi attendeva, ho provato molta pena per lui. Qualche tempo dopo Lydia lo ha incontrato per strada nei pressi di via del Tritone. Pannella le ha voltato le spalle fingendo di guardare le vetrine d'un negozio di strumenti d'acconciatura per donna. E dire che allora non portava la fluente coda di capelli bianchi che oggi tiene annodata lungo la schiena. Non ha avuto il coraggio di girarsi neppure quando mia moglie ha recitato ad alta voce, perché lui sentisse, il Padre nostro e l'Ave Maria».
Solo pusillanime? «Intelligente. Grande manipolatore. Ha attraversato 50 anni di politica italiana stando sempre nel ventre caldo della vacca, la partitocrazia, fingendo d'esserne fuori e di combatterla. La sede vera del Partito radicale è casa sua, in via della Panetteria, vicino alla Fontana di Trevi, frequentata assiduamente dai tre o quattro uomini che ha amato nel corso della sua vita. L'approvazione e l'esaltazione dell'omosessualità e della bisessualità non solo è connaturata al mondo radicale, ma rappresenta lo strumento attraverso il quale si formano le carriere politiche». Eppure cita in continuazione le Sacre Scritture. «E che cosa sa fare il diavolo, se non cercare malamente d'imitare Dio? Da anni usa una sua foto, scattata durante un incontro con Papa Wojtyla al quale partecipavano il dc Flaminio Piccoli e molti altri parlamentari, per vantarsi d'aver avuto un filo diretto con Giovanni Paolo II. Sostiene persino che il Pontefice ascoltava le sue concioni a Teleroma 56. Mi dispiace che Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, sia andato a farsi intervistare da Radio Radicale per confermare quest'amicizia inesistente. Fa il paio con la stoltezza di don Gianni Baget Bozzo, pace all'anima sua, che lo venerava e diceva di lui: "Pannella in realtà è una figura interna alla cristianità italiana, non è un politico: è un profeta"».
Lei sta demolendo la persona alla quale ha consacrato metà della sua vita. «Lo so, e mi considero per questo un grande peccatore, che ha alimentato l'opera di devastazione che Pannella ha compiuto sull'identità cristiana di questo Paese. Ha confuso la libertà col desiderio. Ha portato l'Italia a non distinguere più il bene dal male. Ha distrutto milioni di vite umane con l'ideologia abortista. Per questa ragione combatte la Chiesa. Nella sua intelligenza luciferina, sa che gli sopravviverà». Questo è sicuro. «Prigioniero di un delirio d'onnipotenza, a 82 anni sta evitando i conti con una categoria che non gli appartiene: la morte. Dovrebbe pregare, come fa mio figlio che di anni ne ha appena 7». (Stefano Lorenzetto) 
 
Fonte: Corrispondenza Romana, 23/07/2012

mercoledì 24 febbraio 2016

Giovanna, la fanciulla guerriera

E' un libro che narra la storia affascinante e dolorosa di santa Giovanna d'Arco, la contadina che divenne guerriera per amore della sua Patria in risposta alla richiesta di Dio di liberare la Francia dall'assedio dell'Inghilterra; infatti Giovanna, appena tredicenne, inizia a sentire delle voci che vengono dal Cielo,  spesso accompagnate da un bagliore e da visioni dell'Arcangelo Michele, di Santa Caterina d'Alessandria e di Santa Margherita di Antiochia, che le chiedono di farsi carico del destino di Francia. Si ribella alla volontà del padre, che la vuole vedere sposa, per seguire un'altra strada, l'unica che sente sua: incontrare il "gentile delfino" e salvare il regno dall'assedio degli inglesi. Lei, un'adolescente che non ha mai cavalcato in vita sua, riesce a conquistare capitani, prelati, nobili, uomini di cultura, re, con le sue irremovibili convinzioni, il suo carisma ispirato, la sua incredibile visione tattica in battaglia, la sua fede oltre ogni ragione. Per Dio e per la Patria, fino alla morte.
Giovanna è eroina nazionale di Francia, meglio conosciuta come la Pulzella d'Orléans. Ebbe il merito di riunificare il proprio Paese contribuendo a risollevarne le sorti durante la guerra dei Cent'anni, guidando vittoriosamente le armate francesi contro quelle inglesi. Catturata dai Borgognoni davanti Compiègne, Giovanna fu venduta agli inglesi che la sottoposero ad un processo per eresia, al termine del quale, il 30 maggio 1431, fu condannata al rogo ed arsa viva.
Nel 1456 il Pontefice Callisto III, al termine di una seconda inchiesta, dichiarò la nullità di tale processo. Beatificata nel 1909 e canonizzata nel 1920 da Papa Benedetto XV, Giovanna venne dichiarata patrona di Francia.